Pur
dedicandomi alla Poesia da molti anni, recentemente mi sono affacciata
alla prosa: il genere epistolario, che nella storia della letteratura
ha illustri precedenti, mi affascina. Le persone si confidano, affidano
volentieri il loro cuore alla carta. Da un'immagine, da una lettera, può
iniziare un'avventura che non si sa dove condurrĂ .
.
Adrian
.
Lettera
al figlio adottivo
Caro
figlio,
mi palpiti nel ventre e nel cuore.
E già non so che
colore hanno i tuoi occhi o che perle sciorineranno le tue labbra.
Mistero della maternità vissuta tutta nell’attesa febbrile,
di un volto
che sarà tuo, di un corpo che abbraccerai per trasmettere
il futuro e
di un cuore e di una mente che ti seguiranno per sempre.
Cresci un pò
con me e fammi crescere
Fausta
Chère
fille,
tu est dans mon ventre et dans le cœur.
Et je ne connais pas
la couleur des tes yeux ou quelles sont des perles qui sortiront
de tes lèvres.
Mystère de la maternité vécue toute dans l'attente
fiévreuse, d'un visage
qui sera le tien, d'un corps que tu embrasseras pour transmettre
le futur et
d'un cœur et d'un esprit qui te suivront toujours.
Tu croîs un peu
avec moi et fais me croître
Fausta
. Natale
2008
Cara
Vannella,
“forte e cocciuta come la ginestra, amica dell’aspro e del
brullo”, per usare le tue stesse parole, voglio esprimerti il mio
affetto e la mia stima.
La tua voce sembra flebile ma dalla Calabria arriva fortissima a Roma
per esprimere tutta la passione e tutto il coraggio d’una donna
che non rinnega le proprie radici ma che decide giorno dopo giorno, tenacemente,
fra mille rischi e pericoli, di non abbandonare la sua terra.
Vengo a te, per abbeverarmi alle radici antichissime e coltissime della
tua famiglia così ricca di aneddoti e di storia; all’esempio
del tuo impegno politico, sociale, culturale profuso anche per la tutela
e la difesa delle donne. A te vengo come esempio di donna che combatte
ogni forma d’ingiustizia anche a prezzo del sacrificio della propria
persona.
Infine, è alla tua poesia, così intima e così nascosta,
ma così vibrante, che vengo per ritrovare le mie emozioni più
silenziose:
MISTERO
M’abbaia
sulla pelle
il mastino
del Mistero
non gaudioso.
Ho paura delle ceneri
che sperdono la vita
atomo d’Eterno.
Ti cerco
nella rabbia
dei perdenti,
nella gloria degli eroi
nei cieli di nessuno.
Barcollo....
e Tu
sorridi di me
vagabonda di speranza.
A
nome di tutti i Calabresi e di tutte le Calabresi “fuori”,
lontani dalla Calabria, grazie di esserci.
Tanti cari auguri Fausta
. Caro
Italo,
ti scrivo da lettrice, non da amica. Al telefono, nel mese di marzo, mi
hai raccomandato di leggere il tuo articolo sullo scrittore Juan Rulfo
che sarebbe apparso prima dell’estate sul periodico Poeti e Poesia:
ma la tua raccomandazione era inutile perché gusto sempre il pezzo
che proponi all’inizio della rivista.
Ho divorato le tue parole che ben hanno analizzato la differenza tra l’immagine,
fonte del romanzo e la parola che ispira la poesia e le riflessioni che
fai sulle diverse traduzioni proposte per i romanzo di Juan Rulfo, Pedro
Páramo..
Voglio essere uno dei lettori ai quali passi il testimone di una staffetta
uno per infinito, come la chiami tu, e dirti che sono d’accordo
sulle asserzioni riguardanti la poesia e l’individuazione di certe
genialità creative che sono riuscite a realizzare una sintesi espressiva
tra “immagine” e parola”. A tale proposito, citi autori
tra i mie preferiti quali Cecov e Baudelaire. Hai dimenticato Italo Evangelisti...
Se la critica è attenta e sa suscitare la curiosità del
lettore ed il lettore è pronto a recepire le intuizioni del critico,
allora succederà, come è capitato a me, di entrare in libreria,
comprare e leggere il libro proposto all’attenzione.
Ho voluto ritrovare e partecipare con te la dichiarazione d’amore
per Juan Rulfo e Pedro Páramo, facendo risuonare dentro di me la
musica delle tue parole: esse si sono espanse nella mia anima come si
diffonde aumentando d’intensità il suono nelle campane tibetane.
Grazie Italo, perché quella del “realismo magico” -
al limite del surreale e della follia - che tu indichi è la migliore
chiave per leggere questo piccolo capolavoro. L’azione non si svolge
secondo canoni narrativi conosciuti, l’intreccio non è né
complesso né aggrovigliato: la trama va avanti per frammenti di
sogni, voci e visioni, sullo sfondo dell’amata terra, delle colline
verdi, della “cara Media Luna”. La narrazione progredisce
per introduzione successiva ad incastro di personaggi dei quali piano
piano si scoprono relazioni e rapporti. Emergono brevi ritratti alla Machado
de Assis, alla Antonio Tabucchi, alla Isabel Allende o alla Marques.
Il Messico di Juan Rulfo è inventato, trasceso, sublimato, immaginato:
quale elemento fisico identifica il Messico o Comala? Si parla di arredo
urbano, scuole, chiese, prigioni, municipi? Tuttavia il Messico di Rulfo
è più reale e autentico del vero: raggiunge l’atemporale
e l’universale.
Il tutto esposto in uno stile disinvolto che non indulge a superflue parole,
all’insegna della ricerca della verità, della memoria, del
ricordo e della poesia. Come in questo brano di pascoliana rimembranza: “Pensavo a te, Susana. Alle colline verdi. Quando facevamo volare
gli aquiloni nella stagione del vento. Sentivamo là in basso il
rumore vitale del paese mentre noi stavamo qui sopra, in cima alla collina,
e intanto il filo di canapa ci sfuggiva portato via dal vento. “Aiutami,
Susana”. E delle tenere mani si stringevano alle nostre mani. “Dài
altro filo”. “L’aria ci faceva ridere; univa i nostri
sguardi, mentre il filo scorreva tra le dita dietro al vento, finché
si rompeva con un lieve crepitio come se fosse stato spezzato dalle ali
di un uccello. E lassù, l’uccello di carta cadeva roteando
trascinando la sua coda sfilacciata, perdendosi nel verde della terra”.
(1) Vorrei concludere con la descrizione di Juan Rulfo - o l’anima
dei defunti - fatta da Luis Harss e Barbara Dohmann nel corso di
un incontro avuto con lo scrittore: “E’ seduto, accasciato
nella poltrona, nella nostra camera d’albergo nei dintorni di Città
del Messico, sulla Passeggiata della Riforma, i tratti del volto magro
tirati, le lunghe mani con grosse vene in superficie come nervi a nudo,
incrociate goffamente sulle ginocchia. Parla rapidamente, con una fretta
febbrile, è ciò che si chiama nel suo paese un motorino
d’avviamento lento, dice, come quei fucili che si accendono a scoppio
ritardato, aggrottando le sopracciglia con un sentimento di pena. E’
come la sua terra, precocemente invecchiato, con solchi profondi, dalle
preoccupazioni”.
Se già tu, Italo non lo avessi fatto in modo esemplare, consiglio
ai lettori della rivista di correre ad acquistare Pedro Páramo
per leggerlo (o regalarlo) nelle vacanze di Natale.
Con stima ed affetto, ad un Maestro Fausta
P.S.
Conosco un po’ il portoghese, pochissimo lo spagnolo e nulla posso
dire pertanto in merito alle differenti traduzioni proposte per questo
romanzo ma posso invece assesrire quanto la foto in bianco e nero di Henri
Cartier-Bresson del 1934, posta sulla copertina dell’edizione Einaudi,
alluda, attraverso lo sguardo ed il sorriso ammiccanti della giovane donna
affacciata alla finestra, ad un libro ed un Messico intriganti e da scoprire!
(1) Juan Rulfo, Pedro Páramo, Einaudi, 1993, pp. 13-14