STAZIONI
GARES
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presentazione da mangiaparole.it
Quando
Fausta mi ha chiamato per chiedermi di scrivere l’introduzione
alla sua raccolta di poesie, prima di riagganciare, si e lasciata sfuggire:
«… perchè non dire come ci siamo conosciuti?».
Avevo già l’avvio di una prefazione che non e la lettura
di un ammiratore, né quella di uno specialista. Soltanto la parola
di un amico.
«Mi piaci!». Ecco come ci siamo veramente incontrati: con
queste due parole. Dette da lei all’improvviso nel corridoio della
scuola dove collaboravamo. Era novembre, da piu di un mese lavoravamo
in squadra, lei era il professore ed io il Francese di passaggio. Tra
una lezione e l’altra, Fausta mi ha proposto di andare a prendere
un caffè. Ho accettato: quel caffé e diventato una pausa
necessaria ed anche un momento atteso. Di che parlavamo? Di tutto e
di niente, di letteratura e di cinema, di librerie e di caffé,
degli Italiani e della Francia, che Fausta conosce meglio di me e di
molti Francesi.
In poche parole, abbiamo fatto conoscenza.
I mesi sono passati, e poi gli anni. Tra la Francia e l’Italia,
le lettere, le telefonate, i pacchetti hanno tracciato un cammino. Quando
ci davamo appunto, a Roma, era sempre in un caffè. É qui
che ho saputo che scriveva «poesie…». Me ne ha dato
una, poi due, poi una manciata: in tutte l’ho trovata. Era lei,
ma differente. Poiché tutte, in un gioco di specchi sapiente,
ma spontaneo, rinviano le une alle altre e finiscono col disegnare il
ritratto dell’autrice.
Né da troppo vicino - l’io e sempre irraggiungibile, sempre
altrove -, né da troppo lontano - certe metafore ci fanno quasi
sentire la sua pelle contro la nostra -, Fausta Le Piane evoca i dolori
sordi che lacerano come i veri istanti di pienezza. E cio, attraverso
uno spazio e un tempo che riservano molte sorprese.
Uno spazio: dei paesaggi. A considerare i collage, le foto, la prosa
e la poesia, si scopre in Fausta Le Piane una geografia ben definita.
Questa geografia e rappresentata prima di tutto dai paesaggi urbani:
il caffè, la stazione o l’albergo, questi luoghi di passaggio
sono tutti legati ad una partenza - Departure I e II - che spesso nasconde
una fuga. Una fuga che trascina il lettore verso paesaggi assoluti:
il mare in cui l’io naufraghera, come il deserto, sono dei luoghi
nei quali la narratrice pone tutte le sue speranze. Ma attenzione, che
siano urbani o assoluti, questi paesaggi sono prima di tutto dei paesaggi
mentali: la stazione e l’idea della stazione, e, di conseguenza,
l’idea della partenza, della fuga. Allo stesso modo, il mare,
il deserto, rimandano all’idea d’immensità e al desiderio
del perdersi in questa immensità….
Un tempo: il tempo della scrittura. Le poesie e la prosa hanno un solo
tempo: il presente. Eccoci vicino a quell’io che si affida e sfugge.
Ma quale presente? Quello dell’azione? Quello della lettura? La
risposta e altrove: nel presente della scrittura. Un tempo ripiegato
su se stesso, chiuso e tuttavia in movimento. Quando Fausta Le Piane
scrive «( …) cammino peregrina / tra i miei soffi leggeri»
- Errare - quale limite temporale fissa a questo «cammino»?
Nessuno. Si tratta di tradurre un presente…che dura. Si arriva
alla vera natura dei suoi scritti: luogo chiuso ricordiamoci che si
tratta di spazi mentali e tempo chiuso: è sotto il segno della
chiusura che sembra porsi la sua opera. E d’altronde lei stessa
ci dà la chiave della sua scrittura parlando più volte
di quel labirinto da cui l’io non può uscire e dove si
moltiplicano le esperienze «labirinto ignoto» in Rebus,
«labirinto del tuo destino» in Medusa… Il labirinto
diventa una specie di giardino chiuso simile a quel dedalo di cui Arianna
(Rebus) è l’eroina.
Locus raramente amoenus fatto di naufragi, di pietrificazioni, di partenze
senza ritorni, di piccole e grandi violenze, ma, prima di tutto, luogo
di solitudine in cui si esercita appieno lo sguardo primo legame col
mondo. Ed è attraverso questo sguardo «Il mistero dello
sguardo », Taxi che passa la ricerca. La ricerca del desiderio.
Ricerca del desiderio. In Fausta Le Piane, tutto si costruisce su e
a partire dal desiderio. Il desiderio che rinchiude nel labirinto, il
desiderio che, a poco a poco, costruisce questo labirinto. Il desiderio
come matrice di questo mondo che si spiega dinanzi a noi, un mondo di
storie. Perché in questo mondo chiuso, dal tempo unico il presente
“la parola non è la cosa, ma un lampo alla cui luce la
si scopre”1. E in contesto la chiusura stessa favorisce la moltiplicazione
delle immagini di cui le parole non sono che il punto di partenza e
il lettore, un contenitore.
La parola: un'espressione del desiderio. Qui, come altrove in poesia,
si potrebbe avvicinare la parola poetica all’atto compulsivo psicoanalitico:
una parola liberata perché così dev’essere, perché
non è possibile altrimenti.
Questa parola - il “lampo” di cui parla Diderot è
un soffio che esposta fuori e/spressa -, consegnata all’Altro.
La poesia, luogo di passaggio e oggetto che ci si passa, fa nascere
nel lettore - il destinatario - moltitudini di immagini, proprio come
un solo fuoco d artificio, lanciato nel cielo in festa, fa apparire
una miriade di forme e di colori…
Sono queste immagini, nate alla luce e dalla luce della parola, che
troveranno posto nel lettore vi si imprimeranno e formeranno in lui
le figure del desiderio. Infine, da questo giardino chiuso di cui l'autrice,
il lettore e il desiderio sono nello stesso tempo il motore e la posta
in gioco, Fausta Genziana Le Piane giunge a creare un mondo in cui l'infinitamente
grande affianca l infinitamente piccolo, in cui l'idea stessa di chiusura
esplode. Non c'è più spazio, non c'è più
tempo. Lo scopo è dunque raggiunto: la scrittura e l opera creativa
in genere è in cammino per ingannare ed allontanare la morte.
Patrick
Blandin, Université de Toulouse et de Bordeaux
1Denis
Diderot in “Oeuvres Complètes”, III
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LAMPI
DI SGUARDI…
Lampi negli sguardi che si incontrano
casualmente e si imprimono vicendevolmente, talvolta con dolore, sempre
con una sorpresa rinnovata; urti inattesi che pur costringono a una sosta,
a un’alzata di sopracciglio, a un’impercettibile ma inevitabile
curva delle spalle; bagagli d’intralcio, bagagli di conforto, abbandonati,
trascinati, stretti a sé; predellini, marciapiedi, sale d’aspetto,
corridoi, scompartimenti i luoghi della grande allegoria del viaggio dell’esistenza:
hanno tutta la parvenza di dettagli da scatti impressionistici questi
‘canti dell’estranea contiguità’ della raccolta
Stazioni/Gares di Fausta Genziana Le Piane.
I testi, che appaiono qui nella doppia redazione, in italiano e in francese,
curata dall’autrice, hanno il pregio di esaltare, con un dettato
limpido e non privo di richiami al patrimonio lirico dell’impressionismo
(penso in particolare ad alcune poesie di Théophile Gautier e di
Oscar Wilde) la sonorità e, insieme, la ricchezza di valenze simboliche
di tutte e due le lingue.
Anna Maria Curci
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